Ore 5:04 UTC
La continua e monotona ripetizione di uno stesso rumore di macchinari, di pistoni, di ruote dentate, di organismi rotanti e scivolanti, col tempo, diventa come una musica conosciuta e quasi non ci si fa più caso.
Proprio per questo qualsiasi nota stonata salta all'orecchio, ogni variazione dallo schema è percepita come le dita avvertono immediatamente un sassolino in una manciata di sabbia finissima.
Il rumore, il più spaventoso rumore che può capitare di sentire in una stazione spaziale sospesa nel vuoto del cielo: il sibilo sputacchiante di una perdita d'aria.
Per un astronauta significa quasi sicuramente la morte, non una morte gloriosa di battaglia o quella meno marziale ma altrettanto eroica che prende dopo una lunga lotta contro la malattia. E neppure la morte causata dalla malattia più incurabile di tutte, la vita stessa, quando si allunga talmente tanto da diventare sottile e disfarsi come le foglie a stagione finita.
La morte per vuoto è un'asfissia dolorosa e violenta: il corpo umano, fatto per sopportare costantemente il peso dell’atmosfera, improvvisamente si tende e si deforma, le tensioni tra gli organi interni non più bilanciate dalla pressione dilaniano la pelle, le costole sui spezzano verso l’esterno con una serie di schiocchi ripetuti, gli occhi scoppiano con due “plop” spargendo attorno sangue e parti di cervello e altra roba. Non si muore per soffocamento, nel vuoto dello spazio, non si muore per il freddo. Si muore perché si esplode.
Avverto il sibilare fatale, chiaro come uno squillo di tromba sul sottofondo di basso del macchinario ben regolato, ho un brivido.
Fortunatamente non mi trovo su una stazione spaziale ma in una segheria, ed il rumore che sento non è una letale perdita dello scafo ma un tubicino che porta aria compressa che si è rotto. Premo il pulsante per fermare il macchinario, chiudo la mandata dell'aria, inserisco come da indicazioni di sicurezza sul posto di lavoro il pulsante dell'emergenza, prendo dalla cassetta un cacciavite ed un nuovo tubetto.
Il mio collega, più giù lungo la linea, si accende una sigaretta. Non si potrebbe, fumare qui dentro, ma non dice niente nessuno eppoi stiamo attenti a spegnere bene il mozzicone.
La vita di un operaio non riserva particolari emozioni, ma per lo meno uno non rischia di esplodere spargendo attorno i propri organi interni. O di farsi bucare il cranio da un micrometeorite. O di bruciare nell’incendio di un serbatoio d’ossigeno compresso. O qualche altra morte orribile.
Certo rimane il pericolo di farse male sui macchinari, ma basta starci attenti.
Io sto molto attento, non voglio che qualcuno raccolga pezzi sanguinolenti di me in giro per lo stabilimento.
Neanche che fossi un astronauta.
Persino lo stipendio è niente di paragonabile.