giovedì 22 luglio 2010

Apro una parentesi...


Tutto confermato per la serata "Metti una sera... a lume di candela". Stessa data (29 luglio) stesso posto (Centro Culturale M. Moreno a Mallare (quante "M" in questo nome)) stessa ora (le 21 (ritardatari (i soliti) permettendo (che poi il quarto d'ora accademico lo si concede a tutti))).
Nel frattempo è uscita notizia della serata su Savonanews (qui) , su Igv (qui) , su Facebook (qui) e su E-zine (non qui, bensì qui).
E detto tra parentesi: le candele non sono più 200 ma 199, ne ho provata una per vedere se funzionavano e per quanto tempo.

Rinnovo a tutti (e quattro) i lettori di questo blog l'invito a venire (non in quel senso lì, sporcaccioni) e passare una bella serata con noi.

lunedì 19 luglio 2010

Metti una sera... a lume di candela


Cinque poeti (o presunti tali), due musicisti (di quelli bravi, e pure buoni nel sopportare gentaglia come noi), duecento candele prese all'Ikea.
Ma soprattutto la voglia di passare una bella serata, niente di difficile. E niente di più difficile.
C'è da ringraziare il Centro Culturale, c'è da ringraziare tutti i partecipanti, c'è da ringraziare in anticipo il pubblico che vorrà intervenire. C'è pure da ringraziare i vicini, che la serata se la potranno seguire dalle finestre che danno sul giardino del Centro.
Ma soprattutto c'è da accendere le famose duecento candele di cui sopra (speriamo qualcuno si ricordi di portare i fiammiferi o al limite un buon accendino...).

Per ogni ulteriore informazione: 328.3525748 Cesare / 327.0579557 Francesco

giovedì 8 luglio 2010

I am the egg man We are the egg men I am the walrus


Non sono mai riuscito a capire, nonostante ci abbia passato sopra più di un paio di notti insonni, cosa intendesse dire John Lennon con quella frase "I am the egg man / We are the egg men / I am the walrus".
Probabilmente il vero significato di questi versi non lo ha mai capito neppure lui. Peccato non poterglielo chiedere di persona.
Ho provato a chiedere a Google, mi ha risposto di chiedere a Yahoo Answers. Un po' come certi genitori: "Mamma, posso andare al compleanno di Luca?" "Chiedi a tuo padre" "Pa', posso andare al compleanno di Luca?" "Chiedi a tua madre".
Una cosa che però so è chi conosceva il significato di queste arcane parole: i programmatori del videogioco "Sonic the Hedgehog" per Sega Mega Drive. Ve lo ricordate il mostro finale? si chiamava "Dr. Eggman", e manco a farlo apposta è uno walrus, un tricheco.
Il problema è che ora non so cosa significhi neppure questo.
Né cos'abbiano in comune una canzone del 1967 ed un videogioco del 1991.
Qualcuno potrebbe osservare che John Lennon qualche volta faceva uso di droghe.
Avete presente Sonic? Un riccio blu che corre più veloce del suono deve raccogliere anelli luccicanti che stanno sospesi per aria e sconfiggere un tricheco che si chiama "Dr. Eggman" dopo aver attraversato livelli che neanche Piranesi, pieni di granchi improbabili con gli occhi a palla e fiori che sputazzano palle di fuoco.
C'è il posto che anche i programmatori della Sega si facessero, magari più di qualche volta.

mercoledì 7 luglio 2010

Perdita d'aria


Ore 5:04 UTC
La continua e monotona ripetizione di uno stesso rumore di macchinari, di pistoni, di ruote dentate, di organismi rotanti e scivolanti, col tempo, diventa come una musica conosciuta e quasi non ci si fa più caso.
Proprio per questo qualsiasi nota stonata salta all'orecchio, ogni variazione dallo schema è percepita come le dita avvertono immediatamente un sassolino in una manciata di sabbia finissima.
Il rumore, il più spaventoso rumore che può capitare di sentire in una stazione spaziale sospesa nel vuoto del cielo: il sibilo sputacchiante di una perdita d'aria.
Per un astronauta significa quasi sicuramente la morte, non una morte gloriosa di battaglia o quella meno marziale ma altrettanto eroica che prende dopo una lunga lotta contro la malattia. E neppure la morte causata dalla malattia più incurabile di tutte, la vita stessa, quando si allunga talmente tanto da diventare sottile e disfarsi come le foglie a stagione finita.
La morte per vuoto è un'asfissia dolorosa e violenta: il corpo umano, fatto per sopportare costantemente il peso dell’atmosfera, improvvisamente si tende e si deforma, le tensioni tra gli organi interni non più bilanciate dalla pressione dilaniano la pelle, le costole sui spezzano verso l’esterno con una serie di schiocchi ripetuti, gli occhi scoppiano con due “plop” spargendo attorno sangue e parti di cervello e altra roba. Non si muore per soffocamento, nel vuoto dello spazio, non si muore per il freddo. Si muore perché si esplode.
Avverto il sibilare fatale, chiaro come uno squillo di tromba sul sottofondo di basso del macchinario ben regolato, ho un brivido.
Fortunatamente non mi trovo su una stazione spaziale ma in una segheria, ed il rumore che sento non è una letale perdita dello scafo ma un tubicino che porta aria compressa che si è rotto. Premo il pulsante per fermare il macchinario, chiudo la mandata dell'aria, inserisco come da indicazioni di sicurezza sul posto di lavoro il pulsante dell'emergenza, prendo dalla cassetta un cacciavite ed un nuovo tubetto.
Il mio collega, più giù lungo la linea, si accende una sigaretta. Non si potrebbe, fumare qui dentro, ma non dice niente nessuno eppoi stiamo attenti a spegnere bene il mozzicone.
La vita di un operaio non riserva particolari emozioni, ma per lo meno uno non rischia di esplodere spargendo attorno i propri organi interni. O di farsi bucare il cranio da un micrometeorite. O di bruciare nell’incendio di un serbatoio d’ossigeno compresso. O qualche altra morte orribile.
Certo rimane il pericolo di farse male sui macchinari, ma basta starci attenti.
Io sto molto attento, non voglio che qualcuno raccolga pezzi sanguinolenti di me in giro per lo stabilimento.
Neanche che fossi un astronauta.
Persino lo stipendio è niente di paragonabile.